mercoledì 20 gennaio 2010



"Quando ero piccola, nessuno mi diceva mai che ero carina; bisognerebbe dirlo a tutte le ragazzine, anche se non lo sono." Cit. Marilyn Monroe


Marilyn Monroe, la donna più bella di tutti i tempi, è tutt'ora (nonostante il canone di bellezza tutta curve degli anni Cinquanta sia totalmente cambiato) l'icona di femminilità e sensualità per eccellenza, il simbolo della seduzione.

Norma Jeane Baker è nata a Los Angeles da Gladys Monroe, la quale soffriva di gravi disturbi mentali, e da un uomo tutt'ora sconosciuto. Già a sedici anni si sposa, probabilmente per trovare nel marito Jim Dougherty una famiglia e un “happy end” della sua triste infanzia. Il marito si arruola in Marina, lasciando sola Norma Jeane. Nel frattempo viene scoperta da un fotografo dell'esercito e quindi catapultata nel mondo della moda. La ragazza, con troppo bisogno di quell'amore che non aveva trovato sposandosi, vuole avere successo, essere amata da tutti e diventare la stella più brillante di tutte. Nel maggio del '46 chiede il divorzio e l'anno stesso firma il suo primo contratto cinematografico con la Fox.

Le qualità per diventare una star ci sono tutte: fra corsi di portamento, recitazione e canto, la bellezza spontanea ed ingenua di Norma Jeane si trasforma in quella sensuale e ammiccante di Marilyn Monroe. Sono anni critici per lei, tanto da posare nuda in un calendario, con tutti gli scandali che ciò provocherà. Lo fece solo per avere i soldi per vivere, non per malizia; infatti il compenso fu di soli 50 dollari. A partire dal '49, Marilyn inizia ad apparire in svariati film: i più celebri sono “Gli uomini preferiscono le bionde” oppure “Quando la moglie è in vacanza”, la cui celebre scena della metropolitana fu la scintilla che fece scoppiare il suo secondo e brevissimo matrimonio. Nonostante fosse nel pieno della sua carriera e sempre circondata da uomini, non era mai soddisfatta di sé, così si mise a studiare recitazione all'Actor's Studio. Siamo nel 1956 e in quest'anno viene celebrato il suo terzo matrimonio con Arthur Miller. Nel '60 la sua fragilità e insicurezza si manifestano a tutti: continui ritardi, crisi, abuso di alcol e farmaci... Sul set de “Gli sposati”, che era stato scritto appositamente per lei dal marito, la sua relazione con Miller entra in crisi, fino al divorzio nel gennaio del '61. La giovane Marilyn, che era la più desiderata e amata, rimase nuovamente sola; proprio lei che più di ogni altro temeva la solitudine. Cercava di colmarla con il sesso, sperando di trovare un equilibrio, ma tutte quelle storie occasionali finivano per lasciarla sempre più sola. Nel 1962 durante le riprese di “Something's got to give, la Fox licenzia la Monroe per la sua intrattabilità, ma dopo qualche mese viene riassunta, senza tornare mai sul set.

Nella notte tra il 4 e il 5 giugno 1962, la nostra diva muore nella sua casa; molti pensano al suicidio, altri all'omicidio a causa delle testimonianze di probabili mandati di assassinio da parte dei fratelli Kennedy (con i quali aveva avuto delle relazioni), della mafia e pure del Kgb.

L'amara verità sulla morte della donna più bella della storia sta scritta, però, su una lapide:

Hollywod è quel posto dove ti pagano 1.000 dollari per un bacio e 50 centesimi per la tua anima. Io lo so perché ho spesso rifiutato la prima offerta, ma ho sempre accettato i 50 centesimi.”.


Laura del Petrarca e Fiammetta del Boccaccio


La figura di Laura è molto più realistica rispetto alle donne che appaiono nella letteratura medievale,in quanto subisce i cambiamenti portati dal tempo e ha una condizione psicologica più viva e mossa.Nonostante questo,però,non è del tutto ''umana'' in quanto presenta ancora le caratteristiche della donna angelicata ( "da’ capei d’ oro, dal collo di latte, dalle guance infocate, da’ sereni occhi, dal dolce viso").
Il Canzoniere si divide contenutisticamente in 2 parti:una prima e una dopo la morte della donna.Qui l’ amore non può avere più niente di sensuale; è l’ amore di una morta, viva in cielo e può liberamente spandersi. Petrarca non vede più "i capei d’ oro" e "la rosse dita", ma vede soprattutto " la donna" che prima fu una creatura taciturna e indefinita in vita e ora una creatura affettuosa e premurosa che vive dopo la morte. Quindi in vita Laura ha fornito la testimonianza dell’ opposizione tra il senso e la ragione, tra la carne e lo spirito.


Dall'ultima parte del 1°sonetto che fa da proemio all'Amorosa Visione:

Cara Fiamma, per cui 'l core ò caldo,
que' che vi manda questa Visione
Giovanni è di Boccaccio da Certaldo

Boccaccio descrive così il suo amore per questa donna che, secondo alcuni riferimenti, si tratterebbe di Maria dei Conti d’Aquino di Napoli e, secondo altri, non è neppure mai esistita (quindi si può pensare ad una figura esclusivamente letteraria frutto dei vari amori che hanno coinvolto il poeta nel corso della sua vita).Essa compare in più di un romanzo scritto da questo poeta: la si può trovare in vari racconti (quasi tutti scritti durante la sua giovinezza), tra i quali il Filostrato, il Ninfale Fiesolano, Elegia Madonna Fiammetta per terminare con l'Amorosa Visione. Si tratterebbe, forse, del primo caso in cui la donna è l'unica vera protagonista del romanzo.Boccaccio nell'Amorosa Visione, non descrive Fiammetta, come fa il Petrarca con Laura che la raffigura come una creatura superiore, bensì come una donna completamente terrena e sensuale, che si lascia facilmente sedurre e corteggiare da chiunque e che tradisce con relativa disinvoltura senza preoccuparsi di ciò che sta facendo.In un altro suo romanzo “Elegia di madonna Fiammetta”, l'autore la descrive diversamente dalla realtà perché, in questo caso, è lei quella ad essere tradita da un uomo di nome Panfilo da cui era stata amata prima, ma che poi l'ha lasciata a sua insaputa sposandosi con un'altra donna.In definitiva, si può dire che Boccaccio ha conferito a questo personaggio femminile varie sfumature riguardo alla sua personalità, soffermandosi maggiormente sull'aspetto sentimentale nell'Elegia madonna Fiammetta e più su quello fisico nell'Amorosa Visione.


Denis Guerra , Lazzari Matteo

sabato 16 gennaio 2010




“I suoi capelli mossi color miele, i suoi occhi verdi, intensi e profondi, il suo corpo slanciato e marmoreo. Un sorriso dolce e affettuoso, che ad ogni risata mostrava le sue simpatiche fossette, per non parlare poi della sua carnagione olivastra.
Una ragazza e i suoi capelli color del miele. Camilla.
Quella mattina vestiva in rosso e bianco, colori che sembravano essere stati creati apposta per lei. La camicetta attillata le faceva risaltare i seni e la gonna faceva scorgere le sue bellissime gambe.”



Questo è quello che emerge nel racconto “Gioventù Bruciata”.La ragazza non è descritta in maniera troppo approfondita, ma questo può dar spazio alla fantasia di ognuno dei lettori. Camilla si può immaginare come si vuole. I suoi capelli miele, gli occhi verdi, il sorriso, sono solo alcuni particolari rispetto al resto. L’omissione di una particolareggiata descrizione è volontaria. Sarebbe stato scontato descrivere “solo” una bella ragazza, magari anche ricca. Solo il carattere si può intuire dal breve racconto, il resto è racchiuso nella mente di tutti coloro che leggono di lei. Camilla è alta e bassa, magra ma anche in carne. Questo perché non è specificato l’aspetto, ma la sua “essenza”.
Camilla ha un ruolo fondamentale nella vicenda: tutte le azioni del protagonista, Riccardo, dipendono da lei. La decisione stessa di marinare la scuola è influenzata dal messaggio della ragazza, così come il cambiamento di destinazione da Venezia a Verona e altro. Camilla è una ragazza decisa, che non ha paura di affrontare un’avventura come quella del racconto. Riccardo è fortemente invaghito di lei, e coglie quindi ogni suo particolare, dettaglio. Da quel che si può leggere Camilla è una ragazza abitudinaria, che ama la moda e la sfrutta per sottolineare la sua bellezza, allegra e solare, fisicamente non magrissima, labbra carnose, occhi verdi, capelli mossi e chiari, carnagione leggermente scura.

La Monaca di Monza



Marianna De Leyva, nota come la Monaca di Monza, fù la protagonista di un celebre scandalo che sconvolse Monza all'inizio del XVII secolo. La sua fama attuale si deve soprattutto al romanzo
I promessi sposi, nel quale Alessandro Manzoni inserì la sua vicenda sotto le mentite spoglie di suor Gertrude.
Il padre della donna in questione era, per sventura sua e di molti altri, un ricco, avaro, superbo ed ignorante signore.
Gertrude dimostrava venticinque anni e dava a prima vista un' idea di bellezza. Un velo nero, sospeso e stirato orizzontalmente sulla testa, cadeva ai lati del viso; sotto il velo portava una bianchissima benda di lino che l’ avvolgeva fino in vita. La fronte era di diversa ma non inferiore bianchezza rispetto alla benda. Portava una seconda benda a pieghe che le circondava il viso, e terminava sotto il mento in un soggolo, che si estendeva sul petto in modo tale da coprire lo scollo del saio nero. Insieme a due sopraccigli neri che si ravvicinavano aveva due occhi neri. Le guance pallidissime scendevano con un contorno delicato e grazioso ma alterato da una lenta estenuazione. Le labbra, quantunque appena tinte d' un roseo sbiadito, spiccavano in quel pallore: i loro movimenti erano, come quelli degli occhi, rapido, vivi, pieni d' espressione e di mistero. La grandezza ben formata della persona scompariva in un certo abbandono del portamento o compariva sfigurata in certe mosse repentine, irregolari e troppo risolute per una donna, e soprattutto per una monaca. Nel vestire stesso c'era qua e là qualcosa di studiato e di negletto, che annunziava una monaca singolare: la vita era attillata con una certa cura secolaresca e dalla benda usciva su di una tempia un ciuffo di capelli neri; cosa che dimostrava o dimenticanza o disprezzo della regola, che prescriveva di tenerli sempre corti.


La monaca di monza era di natura molto bella ma le aspirazioni di una famiglia la portarono a sciupare tale bellezza e a segregarla dietro un abito religioso. Lei infatti era destinata e non voleva fare la monaca tant’ è che finì per avere un amante.
Stefano Niero e Marco Gasparotto

Le infermiere nel pensiero collettivo


Nell’ immaginario collettivo le infermiere vengono solitamente guardate con un occhio diverso dalle donne e dagli uomini. Per le donne l’infermiera è considerata come un esempio da imitare per l’ impegno, il sacrificio e la costanza con cui queste esercitano il proprio lavoro. Per gli uomini il punto di vista è un po’ diverso: sarà per il fascino della divisa e dello charme di chi la indossa ma le infermiere vengono spesso associate a pensieri erotici di vario genere. Va comunque considerato però che l’ infermiera viene vista tutt’ oggi come una persona che si prende cura di te e che ti protegge nei momenti di difficoltà. Anche questo aspetto non va sottovalutato: infatti, spesso le infermiere sono giovani e piene di vita a dimostrazione del fatto che con la loro allegria danno una grossa mano nel guarire in quanto vedere una persona bella e giovane che si prende cura di te aiuta, dato che ti da una speranza. La divisa occupa un importante tassello nell’ immaginario sociale collettivo degli uomini in quanto le infermiere vestono di bianco ma la divisa può variare portandosi dal verde al blu chiaro. In passato e anche ai giorni nostri seppur in maniera minore, la divisa veniva e viene considerata come simbolo di purezza e sacralità e doveva dimostrare che l’infermiera era coraggiosa e pronta al sacrificio in ogni momento. Le caratteristiche che contraddistinguono l’infermiera sono la dolcezza, pazienza e tenerezza includendo anche l’amore verso il prossimo. In sostanza, per gli uomini l’infermiera viene vista come la moglie ideale in grado di curarti e di mantenerti per tutta la vita. Molti film hanno come protagoniste delle infermiere e abbiamo una breve descrizione di un’infermiera nel libro “I piccoli maestri” di L. Meneghello il quale recita “… aveva fatto il corso di crocerossina, e si vede che aveva in casa l’uniforme bianca con la croce scarlatta…”.
Alessandro Bregalda, Samuele Saggiorato

Il partigiano

Il partigiano è un combattente armato non appartenente a un esercito ufficiale, che spesso combatte con azioni di guerriglia, piuttosto che con scontri diretti.
Le prime bande di partigiani in Italia, nacquero prevalentemente dopo l’8 settembre 1943, dagli ex militari appartenenti alle Regie Forze Armate presenti al centro-nord Italia. A questi ex militari si unirono poi antifascisti attivi, esiliati o inviati al confino dalla dittatura.
Ogni partigiano, per non rischiare di essere riconosciuto e identificato dalla polizia fascista, non veniva mai conosciuto con il proprio nome, ma si conoscevano solo per soprannomi inventati.
Una divisa partigiana non esisteva realmente, ma c’era un’uniforme base. I partigiani si vestivano infatti con giacche rubate ai militari, camicie di color rosso o giacche semplici, come quelle che venivano usate tutti i giorni ed erano ornate da fazzoletti colorati o emblemi di vario genere, usati principalmente per distinguere un gruppo da un altro. Infatti più che da un’insegna o una divisa comuni, i partigiani si identificavano per le loro idee politiche, in contrasto con il regime fascista dell’epoca. Le armi tipiche dei partigiani erano i superati fucili Carcano, meglio conosciuti come “parabelli”, soprannome derivato dal tipo di munizioni utilizzate, le 9 millimetri parabellum. Oltre ai fucili, però, i partigiani utilizzavano anche pistole di vario genere, le più utilizzate erano però le Beretta M34 e M35, e mitragliatrici leggere, come la Breda mod 30. Solitamente, come già accennato precedentemente, ogni gruppo raccoglieva persone con ideali comuni, e i gruppi solitamente facevano riferimento a partiti politici avversari del partito fascista, come il Partito Comunista Italiano, o il Partito d’Azione, di cui faceva parte l’autore vicentino Luigi Meneghello, di cui abbiamo letto le esperienza da partigiano nella sua opera “Piccoli Maestri”.
Carlan Gian Marco e Corato Alberto

venerdì 15 gennaio 2010

Agnese


Nel libro dei Promessi sposi la madre di Lucia Mondella è Agnese, vedova di mezza età. Non è descritto il fisico,ma sappiamo che rappresenta la tipica donna dei paesetti lombardi e quindi lo si può immaginare. Agnese ha un carattere deciso, sbrigativo e ha una grande esperienza infatti diede preziosi consigli ai promessi sposi come quello di fare un matrimonio "abusivo" nel sesto capitolo oppure di scrivere una bella lettera al Cardinale arcivescovo. Vediamo nel corso della vicenda che se i suoi consigli hanno un risultato positivo questo avviene per puro caso. Per esempio, con il suo progetto ardito del matrimonio a sorpresa, riesce a sventare il tentativo di incursione in casa sua e il rapimento della figlia, e se lei è riuscita a compiere quello che padre Cristoforo non avrebbe fatto in tempo a fare, è opera di una volontà superiore, indipendente del tutto dai piccoli pensamenti e imbrogli della furba contadina: la volontà divina. L’episodio del matrimonio a sorpresa serve a determinare la palese differenza tra Agnese e Lucia. . La donna non consiglia ai suoi giovani un passo contro la morale, ma è evidente su quale diverso piano si trovino madre e figlia. La prima si fa propugnatrice di una morale strettamente utilitaria, la seconda di una condizione psicologica profondamente cristiana.
Agnese è un personaggio statico, nel senso che, nonostante le vicende che la sconvolgono insieme alla figlia e al suo promesso, non cambia né atteggiamento, né concezione della vita: Agnese punta sempre, col suo solito senso pratico, sulla necessità di giudicare le cose in rapporto alle circostanze e non in astratto. Nella sua semplice vita dona tutto il suo amore alla sua unica figlia con facilità e spontaneità , infatti è una figura molto positiva. Ha troppa sicurezza e vede solo una faccia della realtà e questa la porta a essere ottimista e ad escogitare sempre nuove soluzioni per far trionfare la giustizia e il bene di sua figlia.
Il rapporto tra Agnese e Renzo è piuttosto buono,infatti lei ritiene che Renzo sia un bravo ragazzo e lo difende anche in momenti delicati,invece lui stima Agnese come una madre e riceve da lei qualsiasi aiuto fidandosi ciecamente.
Marta Iselle

INNOMINATO

L’innominato è descritto come un personaggio grande, bruno di carnagione, quasi calvo, e i pochi capelli che aveva, bianchi.
Con il volto rugoso a prima vista gli avremmo dato sicuramente più dei sessant’anni che aveva.
É un personaggio a cavallo della mezzeria dei Promessi Sposi: fa da divisore della trama del romanzo, è l’unico che da personaggio cattivo diventa buono, quindi è l’unico ad avere un cambiamento radicale del carattere.
Ha un ruolo centrale: salva Lucia e cambia il corso della storia e della vita di don Rodrigo. Un aspetto dell’Innominato viene descritto nel ventunesimo capitolo ovvero l’assoluta obbedienza nei suoi confronti da parte della gente, ma il narratore lo presenta anche come un carcerato, di fatti egli è cattivo, e la parola cattivo deriva da captivus, che significa prigioniero del male. L’Innominato però poi si converte al cristianesimo, e la sua conversione è dovuta dalla scoperta che cercando di ottenere la libertà facendo del male, egli diventa schiavo di se stesso, quindi per ottenere ciò che cerca, ovvero la libertà, deve fare del bene. L’innominato rappresenta la gloria di Dio e quindi ne manifesta la sua grandezza. Gloria è sinonimo di fama, ovvero l’importanza di qualcuno, in questo caso Dio. Dopo questa conversione l’Innominato nel libro viene descritto come l’eroe disarmato, che cammina solo e senz’armi. Nonostante tutto, l’uomo nuovo non ha cancellato del tutto quello vecchio, lui è ancora un guerriero e combatte con altre armi ma con lo stesso coraggio e vigore che aveva prima della sua conversione, quando era temuto da tutti. Troviamo un esempio di quanto detto nel caso dell’ invasione dei lanzichenecchi, quando dimostra di essere ancora il guerriero di un tempo.
Vive in un castello che rappresenta totalmente il suo carattere, isolato, costruito su di un’altura, con i fianchi aspri e impervi. Ai piedi della “collina” si trova una locanda “LA MALANOTTE” dove i suoi bravi, prima della conversione aspettavano i suoi ordini e controllavano non passasse nessuno di indesiderato.

di Bonetto Elia e Munaretto Giovanni

giovedì 14 gennaio 2010

Lucia Mondella



Lei s’andava schermendo, con quella modestia un po’ guerriera delle contadine, facendosi scudo alla faccia con il gomito, chinandola sul busto, e aggrottando e lunghi e neri sopraccigli, mentre la bocca si apriva al sorriso. I neri e giovanili capelli, spartiti sopra la fronte, con una bianca e sottile scriminatura, si ravvolgevano dietro il capo in cerchi molteplici di trecce, trapassate da lunghi spilli d’argento che si dividevano all’intorno, quasi a guisa dei raggi di un’aureola. Intorno al collo aveva un vezzo di granati alternati con bottoni d’oro a filigrana. Portava un bel busto di broccato a fiori, con le maniche separate e allacciate da bei nastri: una corta gonnella di filaticcio di seta a pieghe fitte e minute, due calze vermiglie, due pianelle di seta anch’esse, a ricami. Oltre a questo, Lucia aveva l’ornamento quotidiano di una modesta bellezza, rilevata e accresciuta dalle varie affezioni che le si dipingevano sul viso: una gioia temperata da un turbamento leggero che le dà un carattere particolare.>

Lucia è uno dei personaggi di maggiore rilievo nei Promessi Sposi. Dalla morte del padre vive con la madre Agnese e lavora come tessitrice assieme al fidanzato Renzo. Questa donna ha rivoluzionato la letteratura, poiché prima dell’800 la figura femminile veniva rappresentata come una donna bionda e particolarmente bella. Lucia, invece, pur non avendo queste caratteristiche è la sposa ideale per l’uomo di quel tempo. Figura d’innocenza e timore, vittima insicura nella quotidianità delle azioni. È una ragazza ingenua e discreta, priva di orgoglio e di superbia che disprezza la violenza ritenuta da lei offesa verso Dio.

Lucia è una donna dedita alla Fede. Si affida soprattutto alla Provvidenza che l’ aiuta nei momenti difficili. Le sue armi sono la speranza e la preghiera che le danno forza morale e ricchezza interiore e quella onestà che non permette alle persone di dubitare di lei. Generazioni e generazioni di lettori sono rimaste interdette di fronte a questa bella baggiana intoccabile che semina conversione e rispetto ma anche rabbia e gelosia pur smorzando sul nascere qualsiasi desiderio.


Giulia Vigolo e Matteo Atanasio

lunedì 11 gennaio 2010

I Bravi


I bravi erano briganti legalizzati da specifiche grida del tempo, avevano cioè il diritto di garantire nel latifondo di proprietà del loro padrone i suoi ordini e volontà, agendo anche illegalmente.
Grazie a I promessi sposi di Alessandro Manzoni i Bravi oggi sono una figura molto conosciuta, dove appaiono come scagnozzi di Don Rodrigo.

"Due uomini stavano, l'uno dirimpetto all'altro, al confluente, per dir così, delle due viottole: un di costoro, a cavalcioni sul muricciolo basso, con una gamba spenzolata al di fuori, e l'altro piede posato sul terreno della strada; il compagno, in piedi, appoggiato al muro, con le braccia incrociate sul petto. L'abito, il portamento, e quello che, dal luogo ov'era giunto il curato, si poteva distinguer dell'aspetto, non lasciavan dubbio intorno alla lor condizione. Avevano entrambi intorno al capo una reticella verde, che cadeva sull'omero sinistro, terminata in una gran nappa, e dalla quale usciva sulla fronte un enorme ciuffo: due lunghi mustacchi arricciati in punta: una cintura lucida di cuoio, e a quella attaccate due pistole: un piccol corno ripieno di polvere, cascante sul petto, come una collana: un manico di coltellaccio che spuntava fuori d'un taschino degli ampi e gonfi calzoni: uno spadone, con una gran guardia traforata a lamine d'ottone, congegnate come in cifra, forbite e lucenti: a prima vista si davano a conoscere per individui della specie de' bravi.
Questa specie, ora del tutto perduta, era allora floridissima in Lombardia, e già molto antica.”

Se noi facessimo un confronto tra i bravi e i “mafiosi/mafiosetti” di oggi vedremmo che, a distanza di secoli, di abitudini, modi di vivere e pensieri, non è poi cambiato tanto. Possiamo perfino azzardarci a dire che la mafia non è nata da Provenzano e Riina, ma da Renzo Tramaglino e Lucia Mondella contro Don Rodrigo il boss e i bravi gli sgherri, i mafiosetti. Come dice Roberto Scarpinato, magistrato impegnato da anni nella lotta contro la Mafia e contro il potere occulto di alcune alte cariche dello stato, ex collaboratore di Borsellino e Falcone “Così nel romanzo I promessi sposi, don Abbondio si piega ai voleri di Don Rodrigo non solo perché ha timore dei suoi bravi - quelli che oggi chiameremmo i mafiosi dell'ala militare, gli specialisti della violenza - ma anche perché si trova in una condizione di assoggettamento psicologico che deriva dalla consapevolezza che Don Rodrigo fa parte di un mondo di potenti al di sopra della legge: anzi del mondo che detta la legge.

Matteo Zoppello e Diego Lombarda

venerdì 8 gennaio 2010

Il partigiano


Il partigiano è un combattente armato non appartenente a un esercito ufficiale, che spesso combatte con azioni di guerriglia, piuttosto che con scontri diretti.
Le prime bande di partigiani in Italia, nacquero prevalentemente dopo l’8 settembre 1943, dagli ex militari appartenenti alle Regie Forze Armate presenti al centro-nord Italia. A questi ex militari si unirono poi antifascisti attivi, esiliati o inviati al confino dalla dittatura.
Ogni partigiano, per non rischiare di essere riconosciuto e identificato dalla polizia fascista, non veniva mai conosciuto con il proprio nome, ma si conoscevano solo per soprannomi inventati.
Una divisa partigiana non esisteva realmente, ma c’era un’uniforme base. I partigiani si vestivano infatti con giacche rubate ai militari, camicie di color rosso o giacche semplici, come quelle, che venivano usate tutti i giorni ed erano ornate da fazzoletti colorati o emblemi di vario genere, usati principalmente per distinguere un gruppo da un altro. Infatti più che da un’insegna o una divisa comuni, i partigiani si identificavano per le loro idee politiche, in contrasto con il regime fascista dell’epoca. Le armi tipiche dei partigiani erano i superati fucili Carcano, meglio conosciuti come “parabelli”, soprannome derivato dal tipo di munizioni utilizzate, le 9 millimetri parabellum. Oltre ai fucili, però, i partigiani utilizzavano anche pistole di vario genere, le più utilizzate erano però le Beretta M34 e M35, e mitragliatrici leggere, come la Breda mod 30. Solitamente, come già accennato precedentemente, ogni gruppo raccoglieva persone con ideali comuni, e i gruppi solitamente facevano riferimento a partiti politici avversari del partito fascista, come il Partito Comunista Italiano, o il Partito d’Azione, di cui faceva parte l’autore vicentino Luigi Meneghello, di cui abbiamo letto le esperienza da partigiano nella sua opera “Piccoli Maestri”.
Carlan Gian Marco e Corato Alberto


Perpetua


Perpetua, un personaggio del romanzo “I promessi sposi”, è la serva fedele ed affezionata di Don Abbondio; si occupa delle faccende di casa ed è sempre attenta e premurosa nei suoi confronti.
È una donna di estrazione popolare, sfrontata e chiacchierona, ma dimostra di riuscire sempre buon senso e intelligenza, in particolar modo quando si trova a dover difendere o consigliare il suo assistito; a sua volta Don Abbondio l’ascolta facendo tesoro dei suoi preziosi consigli.
La figura di Perpetua compare negli stessi momenti in cui appare quella del curato; all’inizio del romanzo quando Don Abbondio torna a casa dopo l’incontro con i bravi di Don Rodrigo, lei vuole subito sapere le ragioni dello stato d’animo triste e preoccupato del sacerdote che, però, la svia chiedendole un bicchiere di vino. La donna lo accontenta ma continua ad insistere per farsi dire ciò che è successo poiché era riuscita a comprendere che qualcosa di strano era avvenuto: si presenta come una donna insistente, impicciona, che si fa gli affari altrui. Il curato, alla fine, cede e le racconta delle minacce che gli sono state rivolte dai bravi. Perpetua gioca un ruolo importante anche nel momento dell’incontro tra il prete e Renzo, protagonista del romanzo, in cui il ragazzo viene informato dell’impossibilità del matrimonio. In questa occasione Perpetua dimostra di non essere in grado di tenere segrete le informazioni trapelate dal suo padrone.
La donna, infatti, fa intendere al giovane che sotto la falsa verità raccontatagli c’è qualcos’altro di più importante e grave e lo fa non in modo diretto ma inducendo Renzo a delle deduzioni: questo le permette di guidare il ragazzo verso la verità senza, però, sentirsi in colpa nei confronti del suo padrone.
Il curato dimostra di fidarsi molto della donna anche in occasione del matrimonio a sorpresa: è lei che, in buona fede, riesce a convincerlo a lasciar entrare Tonio, suo debitore, nonostante la tarda ora, poiché spera di poter riavere definitivamente la somma di denaro prestatagli in precedenza.
In conclusione si può dire che non è possibile immaginare il romanzo senza Perpetua poiché ne rappresenta il braccio destro in qualsiasi situazione.
Alessia Zaroccolo

Elizabeth Bennet


Elizabeth, un'eroina che anticipa i tempi della ricerca di un'indipendeza femminile.

L'immagine di una donna dalla quale prendere esempio.

Elizabeth Bennet, chiamata affettuosamente Lizzy, è la protagonista del romanzo “Orgoglio e pregiudizio” scritto dall’autrice inglese Jane Austen, alla fine del 1700.
Elizabeth è una donna molto diversa da tutte le altre giovani del suo tempo: è brillante, molto intelligente e perspicace. Dotata di un forte carattere, è molto ferma e difficilmente cambia opinione, la prima impressione le è più che sufficiente per delineare una persona. Riferendosi a lei e alle altre figlie, suo padre dice : “Nessuna di loro vale molto, sono tutte sciocchine e ignoranti come le alte ragazze; ma Lizzy è un po’ più sveglia delle sue sorelle.”. Ella è sempre messa a dura prova per l’imbarazzo che le provoca la sua famiglia: una madre frivola e volgare come le sorelle minori e un padre disinteressato e cinico. Prova invece un grande e sincero affetto per la sorella maggiore, Jane che è considerata la più bella di tutte le ragazze della famiglia. È eccezionalmente buona e non riesce a pensar male di nessuno. Di lei Elizabeth dice: “Tu pensi che tutti siano perfetti e ti dispiace se parlo male di qualcuno. Quando però desidero pensare che tu sei perfetta, ti metti contro di me. Non temere che io esageri, che io usurpi la tua dote di considerare tutti con benevolenza. Sono poche le persone che io amo per davvero e ancora meno quelle delle quali io penso bene. Più conosco il mondo, più ne sono disgustata …”.
Elizabeth è un’attenta osservatrice, “…si diverte alle stramberie di tutti…”, si forma rapidamente un’opinione sulle persone che la circondano, che è quasi sempre azzeccata. Ma il suo giudizio su Mr. Darcy, uomo ricco ed oltremodo orgoglioso, è influenzato negativamente dalla vanità della ragazza. Il disinteresse del giovane nei suoi confronti la irrita, come l'esser stata giudicata “appena passabile”, tanto da confessare alla sorella: “Potrei facilmente scusare il suo orgoglio, se non avesse ferito il mio.” .
Elizabeth è però in grado di riconoscere i propri errori e quando capisce la generosità e l’animo nobile di Mr. Darcy, riesce a ritornare sui propri passi, dimostrandosi ragionevole e con una mente aperta a contrario della maggior parte dei suoi contemporanei.
Elizabeth è una donna che ha il coraggio di ribellarsi per raggiungere la propria felicità: rifiuta un matrimonio con un uomo ridicolo e noioso anche se benestante e affronta a viso aperto la terribile Lady Catherine De Bourgh , nobildonna che la ritiene immeritevole del nipote Mr. Darcy.
Elizabeth è quindi un’eroina, è bella, brillante, pungente e di indole ribelle: la Lizzy della Austen non rappresenta per nulla l'idea di donna settecentesca inglese, specialmente per la sua tendenza ad esprimere molto apertamente le idee. In lei si può però cogliere il primo bagliore di un anticonformismo femminile nemmeno troppo celato, un attacco al privilegio degli uomini, dichiarando apertamente il diritto delle donne a un’indipendenza .


Federica Magnabosco Francesca Baldisseri

giovedì 7 gennaio 2010

Christine, una ragazza speciale






In questa attività modulare, concentrata sulla descrizione della donna, vi presenteremo Christine, personaggio del nostro racconto “Il Riflesso della Luna” presente nel blog http://scrivendofantastico.blogspot.com.
Buona lettura.


Christine è il personaggio femminile principale del racconto “Il Riflesso della Luna”.
In questo elaborato le viene dato poco spazio, se ne descrive solo una parte.
Dai riferimenti emersi si può capire che Christine è una teenager di quindici anni, nata in Algeria da genitori di origine americana. La parte della descrizione fisica è alquanto carente: si dice solamente che è una ragazza molto carina: capelli biondi, occhi azzurri come degli zaffiri, fisico da pin-up… un mix di bellezza che ha catturato all’istante Alex, il protagonista anch’egli quindicenne della storia.
Per quanto riguarda il lato psicologico, invece, si capisce che Christine è molto riservata e timida con gli estranei. Timidezza che però riesce a superare in presenza di Alex prendendo lei per prima la parola una volta rimasti da soli. Rotto il ghiaccio, diventa anche molto simpatica, come racconta in seguito al primo incontro lo stesso Alex. Anche lei è attratta dal ragazzo, infatuazione che si manifesta con il ripetuto rossore delle gote ogniqualvolta i due si ritrovano insieme. Questa si trasforma poi in vero e proprio amore: alla notizia che i due andranno a vivere al massimo ad un paio di isolati di distanza, scocca anche il bacio che segna l’inizio della loro storia. Ultima caratteristica che emerge è il forte attaccamento al padre: per salvargli la vita sacrifica la sua ponendo il suo corpo in protezione dell’amato genitore.

Ma Christine non è solo quest’accozzaglia di informazioni, è molto di più.

Riordinando il tutto, Chiristine è una ragazza americana, ha quindici anni ed è figlia unica. È alta circa un metro e sessantacinque, ha gli occhi azzurri e i capelli biondo chiaro.
Andando a scuola in Inghilterra, indossa solitamente la divisa scolastica. Questa è composta da una camicia bianca, una gonna nera lunga fino al ginocchio e una cravatta anch’essa di colore nero. Quando si veste con tale divisa, è solita portare anche delle calze lunghe abbinate alla gonna. Quando non è a scuola, indossa vestiti normali: una T-shirt o un maglioncino a seconda delle stagione e un paio di jeans; comunque non vestiti troppo vistosi, firmati o ingombranti. Essendo molto timida, non si mette mai troppo in mostra e non indossa mai maglie troppo scollate per far risaltare le generose curve.
Come già accennato, Christine è una ragazza molto timida: tende a stare in disparte e a chiudersi in se stessa rifiutando le altre persone, per questo non ha molti amici. Tanti suoi coetanei, nonostante sia molto carina, la evitano proprio per questo motivo. È solita esprimere i suoi sentimenti solo in presenza di chi conosce veramente bene e per aiutare le persone a cui è molto affezionata sarebbe disposta a dare la vita.
Ammira Alex perché anche lui vive la sua stessa situazione (riservato, con pochi per non dire nessun amico). Si innamora di lui molto presto perché è l’unico che sia mai riuscito a capire i suoi stati d’animo, perché non la giudica in modo negativo per la sua timidezza e perché i due sono molto simili: scoprono infatti di essere fatti l’uno per l’altra nel giro di pochissimo tempo e il primo bacio scocca solo quattro giorni dopo il loro primo incontro.


Luca Mattarolo e Nemanja Rajic